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Emma Bonino Interview su immigrazione e geopolitica

Shukri Said – Blog Primavera Africana – Emma Bonino, classe 1948, è tra gli esponenti più importanti del radicalismo liberale del dopoguerra e la donna italiana più conosciuta e apprezzata nel mondo. Entra in politica nel 1975 e l’anno successivo viene eletta alla Camera dei deputati nelle liste del Partito Radicale. Nel 1979 viene eletta al Parlamento europeo. È stata Commissario europeo e più volte Ministro della Repubblica italiana. Ha lottato per i diritti civili e contro ogni forma di sopruso in tutte le parti del mondo fino a farsi ripetutamente arrestare e subire attentati. È tra le ispiratrici e fondatrici dell’Associazione “Non c’è pace senza giustizia” che ha promosso la Corte penale internazionale dell’Aia contro i crimini internazionali e i genocidi, la campagna contro le mutilazioni genitali femminili e quella per la democrazia in Medio Oriente e Nord Africa. È da decenni ai vertici delle preferenze degli italiani quale Presidente della Repubblica.  

        Emma Bonino

Emma Bonino

D. Junker a Roma in questi giorni ha riconosciuto lo sforzo dell’Italia nel campo dell’immigrazione, ma ha affermato che non tutti i paesi europei sono d’accordo nel ripartirsi i rifugiati. Secondo te, all’esito di questi incontri fra Renzi e Junker, ci saranno dei risultati?

Se risultati ci saranno lo vedremo nei prossimi giorni. Quel che è certo è che il rischio di esplosione dell’Europa sul tema dei migranti mi pare molto reale. Sul problema degli immigrati e dei rifugiati è indubbio che l’Italia ha fatto un notevole sforzo in tutti questi anni per salvare le vite umane in mare. Poi ci sono in Italia mille altre carenze, come è noto, sull’accoglienza e l’integrazione. Ma in Europa la situazione è veramente drammatica. L’altro ieri ero a Berlino ad una tavola rotonda indetta dal Presidente della Repubblica federale tedesca Joachim Gauck sull’immigrazione e, francamente, la situazione che ne è emersa è super preoccupante. In Europa si parla molto, forse troppo. Adesso si annuncia il vertice del 7 marzo dell’Unione Europea con la Turchia dove ci sarà forte contrapposizione. Da una parte il gruppo cosiddetto di Visegràd e tutti gli stati coinvolti nella rotta balcanica… dall’altra parte le istituzioni dell’Unione Europea. Nel frattempo il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk visiterà le capitali di questi paesi dell’Europa dell’Est più Grecia, Germania. Però, al di là di tutti questi incontri e dibattiti, la sensazione generale è che, comunque, noi i rifugiati non li vogliamo. Punto. Invece di sforzarci di gestire il problema il meglio possibile e parlare di integrazione, continuiamo a parlare di muri e di frontiere.

D. Come vedi il Trattato di Dublino nel momento attuale?

Io sostengo da molto tempo che i due trattati, quello di Dublino e quello di Schengen, per come si sono evolute le cose, non possono stare insieme. Quindi, o si modifica Dublino o salta Schengen.

D. Atene rischia di uscire dalla UE non più per motivi economici ma per i flussi dell’immigrazione. C’è qualcosa che l’Europa non ha ancora fatto per venire incontro alla Grecia?

Tutta la discussione sull’espellere la Grecia da Schengen non mi pare che abbia senso comune. La Grecia non ha frontiere di terra con l’area Schengen e, quindi, le frontiere già ci sono e, infatti, sono chiuse – vedi la Macedonia. Ipotizzare di chiudere le frontiere Schengen della Grecia consisterebbe semplicemente nel chiuderne lo spazio aereo e non ha senso perché i profughi non volano. Inoltre mi pare che i profughi che transitano dalla Grecia stiano già cercando altre vie come quella dell’Albania. Da lì si rimetteranno in mare per raggiungere la Puglia.

D. La Turchia ha fatto un accordo di 3 miliardi con l’Unione Europea per fare argine all’immigrazione. I Radicali si sono sempre battuti per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. L’Europa non dovrebbe rimpiangere di non aver fatto entrare la Turchia nella UE?

Quando l’Europa fece marcia indietro, tradendo la sua credibilità e la sua decisione sull’ammissione della Turchia nell’Unione Europea, non è stato per la questione migratoria, dato che all’epoca non si poneva ancora il problema. La storia è andata diversamente. La Turchia ha deciso un’altra politica estera che guardava molto più a Est e non guardava più all’Europa. Indubbiamente, però, oggi la Turchia si trova in difficoltà, in mezzo a una regione in cui contribuisce all’instabilità anche con la questione curda irrisolta. Per la Turchia la vecchia teoria politica del “nessun nemico tra i vicini” non regge più e, in realtà, tutti i vicini sono diventati dei nemici. Mi pare che non ci siano più soluzioni nel breve periodo e, quindi, io rimango convinta che nella situazione attuale la cosa migliore che possiamo fare è riprendere in buona fede questo processo di integrazione della Turchia nell’Unione Europea che, peraltro, durerà anni, almeno dieci. Invece, in questo momento, l’unica cosa che interessa all’Europa nei rapporti con la Turchia, è che la Turchia si tenga i rifugiati. Sono stata al confine tra Gaziantep e la Siria dove sono ammassate ormai centomila persone in otto campi profughi senza acqua, senza elettricità, senza riscaldamento, senza niente di niente e la Turchia non li lascia entrare. È chiaro che noi siamo molto deboli ad andare a chiedere alla Turchia di aprire le frontiere quando stiamo chiudendo le nostre. Per questo il rapporto dell’Europa con la Turchia è molto difficile da gestire. Ora penso alla tregua che è iniziata in Siria. È molto fragile e io spero che tenga, non fosse altro che per alleviare le sofferenze umane di quel popolo che ne ha già viste di tutti i colori.

Emma Bonino durante una battaglia per i diritti delle donne

Emma Bonino durante una battaglia per i diritti delle donne

D. Sei la persona politica italiana più esperta del mondo arabo. È innegabile che manchi un progresso di questo mondo verso la modernità. Secondo te questo deficit è dovuto all’incompatibilità dell’Islam con la democrazia o delle tirannie che affermano di ispirarsi all’Islam?

Ci sono tantissimi Islam, tutti molto differenti tra loro. C’è l’Islam tunisino che non ha nulla a che vedere con quello dell’Arabia Saudita, pur essendo entrambi sunniti. Oppure, se si guarda ai 200 milioni di musulmani indiani, si vede che non hanno niente a che spartire con gli Emirati Arabi. All’interno del mondo arabo-musulmano ci sono tanti Islam quanti sono i paesi. Non è vero che c’è un’unica interpretazione, un unico Islam. La Tunisia ha una storia laica decisa da Habib Bourguiba, ma la sua fu una di quelle influenze che nel tempo possono portare la Storia avanti o indietro. Per questo non bisogna fare un’unica amalgama, pensare a un’unica conclusione.

D. A proposito della Tunisia, la primavera araba si è trasformata in un lungo inverno. Quando si vedrà la luce fuori dal tunnel?

Se tu pensi a qualunque evoluzione democratica, vedrai che ogni rivoluzione ci ha messo almeno vent’anni per arrivare ad un risultato. Guarda l’America Latina, per esempio, ma guardiamo anche più semplicemente alla Jugoslavia che ha iniziato il suo percorso nel 1992. Siamo nel 2016 e ancora ci sono tensioni. In questo panorama la Tunisia rimane un po’ un’eccezione anche se molto fragile. Ma siccome non desta troppe preoccupazioni non viene, secondo me, sostenuta in modo sufficiente. Peraltro, se la Libia continua in questo suo inferno, rischia di trascinare nel baratro anche la Tunisia perché tutto si tiene, in qualche modo. Il nodo di tutta l’attuale instabilità è all’interno della famiglia musulmana. Sia all’interno dei sunniti che, poi, tra sunniti e sciiti. E non c’è moltissimo che si possa fare da fuori. Queste potenze regionali sono cresciute sotto i nostri occhi solo in questi ultimi anni. Dobbiamo ammettere che fino a vent’anni fa nessuno di noi sapeva nemmeno dove stava il Qatar che, oggi, è una potenza regionale, non militare, ma sicuramente finanziaria e anche ideologica. La lotta è per ora tutta all’interno del mondo islamico, sia pure con eventi terroristici anche da noi, in Europa, ma i massacri più grandi avvengono soprattutto fra i musulmani.

D. I Radicali avevano proposto per Saddam Hussein l’esilio e non vennero ascoltati. Oggi abbiamo una polveriera tra Siria, Turchia e Iraq. Uno degli ostacoli alla soluzione dei problemi dell’area è Bashar al-Assad. Se si eliminasse Assad, ci sarebbe forse il rischio di rinforzare l’ISIS così come furono proprio gli ex del partito Baath di Saddam Hussein a fondarlo? Per Assad tu hai suggerimenti rispetto a quanto fu indicato a suo tempo per Saddam Hussein?

Guarda che all’ultimo minuto, con la casa in fiamme, c’è veramente poco da proporre. Io credo che quello che possiamo fare, per prima cosa, è farci carico dell’aspetto umanitario, cosa che già non facciamo abbastanza. In secondo luogo dobbiamo spingere per un accordo diplomatico tra le quattro capitali che sono Ankara, Riad, Teheran e Damasco. Ma veramente adesso c’è poco che si può fare dall’esterno, ammesso che si potesse fare qualcosa prima, cosa su cui io ho un sacco di dubbi. È una guerra, innanzitutto, tra di loro, tra le potenze regionali sulle quali non abbiamo poi tanta influenza. Ma il nostro dovere – quello sì che ce lo impongono le convenzioni internazionali! – è quello dell’assistenza ai rifugiati, è l’assistenza umanitaria e noi non facciamo neanche quello.

D. Però, Emma, se in Medio Oriente fanno guerra tra di loro, i rifugiati, poi vengono tra di noi!

Ma è così che funziona. Così ha funzionato in tutta la storia. Proprio per questo esistono le convenzioni umanitarie per i rifugiati. Alla fine della seconda guerra mondiale, i rifugiati erano 15 milioni e se ne sono fatti carico paesi come gli Stati Uniti, un po’ l’Europa, l’Australia eccetera. Per questo le guerre si combattono, ovviamente “fra di loro”, ma la comunità internazionale si è data delle regole di protezione per i rifugiati e almeno quelle regole le dovremmo rispettare, tanto più che se tu guardi i dati Eurostat, ti dimostrano che dal 2008 al 2014, ogni anno, l’Europa ha dato due milioni e mezzo di permessi di lavoro, ma se tu vai a vedere le nazionalità che ne hanno beneficiato, vedrai che si tratta di indiani, cinesi, brasiliani, … adesso anche ucraini. Pochissimi sono stati dati alla Siria o ai paesi più martoriati. Questo vuol dire che la classe dirigente europea sa perfettamente che abbiamo bisogno di immigrati e di forza lavoro costante, ma vi è molta più resistenza a dare i premessi ai musulmani. Evidentemente l’Europa non vuole i musulmani.

D. Passiamo ad un’altra aerea geografica. Ti si riconosce un ottimo lavoro sull’Africa. Lotta alla fame, alle mutilazioni genitali femminili, la moratoria sulla pena di morte. Quali sono adesso le priorità per l’Africa?

A me sembra – tanto per collegare questi argomenti a quello che dicevamo prima sui migranti – che una delle questioni più gravi per il Mediterraneo e poi per l’Africa, almeno quella vicino al Sahel, è un’incredibile esplosione demografica che non si capisce dove andrà a finire. Se si prende anche solo la costa sud del Mediterraneo, si osserva che la popolazione, nel 1950, era di 76 milioni di persone. Nel 2010 erano 360 milioni. Nel 2050 saranno 630 milioni con un tasso di sviluppo economico che, di tutta evidenza, non tiene il passo, non è adeguato. Dove pensiamo che vada tutta questa gente e, soprattutto, come farà a vivere? Poi, se dal Sahel andiamo un po’ più giù, vediamo che nel 2050 la sola Nigeria, che ora ha una popolazione di circa 200 milioni, avrà più abitanti dell’Eurozona. Nel 2100 ci saranno più etiopi che europei e la popolazione africana supererà i 4 miliardi di esseri umani. Già adesso l’Europa si trova di fronte ad un fenomeno migratorio, oltre a quello dei rifugiati, che è incontenibile ed è destinato a crescere mentre la popolazione europea è in forte declino demografico. Questo rapporto nord-sud non si può risolvere semplicemente alzando muri alle frontiere. 630 milioni di persone non accetteranno di morire di fame. E bisogna aggiungere che la questione demografica va di pari passo con la questione ambientale. I problemi dell’acqua, delle materie prime o delle foreste impongono politiche di tutela dell’ambiente eccezionali quando la pressione demografica è destinata a questa crescita vertiginosa.

D. Nell’ultimo Consiglio dei ministri al quale hai partecipato nel 2014 come capo della Farnesina hai nominato Fabrizio Marcelli ambasciatore per la Somalia. Il primo dopo il 1991. Che cosa Ti spinse a questa decisione?

La nomina di un ambasciatore è sempre un segno di attenzione per il paese al quale è destinato e anche una fonte diretta di informazioni sull’andamento del paese. La Somalia non mi sembra che sia migliorata molto in questi ultimi tempi, ma almeno avere una sede sul posto aiuta a capirne meglio i problemi.

D. E veniamo all’Italia. Ora c’è un radicale candidato a sindaco di Roma dal PD e questa volta con la benedizione di Renzi. Qualora Giachetti diventasse sindaco di Roma, quali suggerimenti gli daresti su come affrontare i temi dell’integrazione dei rom?

Non vedo un’alternativa a Giachetti. Certo quello dei Rom non è un problema facile ma Giachetti potrà avvalersi dell’esperienza dei Radicali Italiani e di Riccardo Magi che ha fatto un ottimo lavoro anche durante l’Amministrazione di Marino.

Papa Francesco saluta Emma Bonino

Papa Francesco saluta Emma Bonino






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