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La caduta di Abdiweli, Premier somalo

Shukri Said – Primavera Africana – Da ieri la comunità internazionale ha un problema nuovo con un nome vecchio: la Somalia.
A venti mesi dal traguardo delle elezioni a suffragio universale che le Nazioni Unite hanno posto nel 2016 (nessuno ormai ci crede più in Somalia),

il Parlamento ha votato la sfiducia al Primo Ministro Abdiweli Sheikh Ahmed che si era contrapposto al Presidente della Repubblica Federale somala Hassan Sheikh Mohamud fino al punto di declassare il suo mentore Farah Abdulqadir, da Ministro della giustizia e della Costituzione, a Ministro degli animali. Un’offesa intollerabile perché Abdulqadir era l’amato datore di lavoro di Mohamud prima dell’ascesa quest’ultimo a Presidente della Repubblica.

La sfida tra Abdiweli e Mohamud era nota da un paio di mesi ed invano la comunità internazionale, manifestando segni di stima per il PM Abdiweli, aveva chiesto di archiviare il conflitto istituzionale e pensare ai veri problemi della Somalia: dalla lotta agli Al Shabab alla carestia, dalla sicurezza ai servizi sociali.

In Parlamento c’erano stati già tre round vinti da Abdiweli contro Mohamud, ma la vigilia del voto le tariffe di un deputato a favore del Presidente e contro il Primo Ministro hanno toccato la quotazione di 35.000 dollari ed in molti hanno capitolato. Comprensibilmente per un Paese che non conosce la legalità da oltre 22 anni ed è stato collocato appena l’altro ieri al 174° posto per la corruzione insieme alla Corea del Nord. Del resto le pagine romane di questi giorni non permettono alcuna critica.

Abdiweli ha avuto la meglio su Mohamud finché Damul Jadid ha offerto intorno ai 20.000 dollari per voto, ma ai livelli della notte della vigilia hanno ceduto anche i fedeli di Sakin (lametta), l’ineffabile

ultimo speaker del Parlamento somalo della transizione, appena eletto governatore della Regione di Baidoa sorvegliata dalle truppe AMISOM dell’Etiopia. Inoltre, alle nuove quotazioni, si sono mossi da Nairobi, con un aereo privato mandato a prenderli da Damul Jadid, anche una quarantina di parlamentari che erano rimasti insensibili alla precedente quotazione di 20.000 dollari.

Sta di fatto che la votazione della mozione di sfiducia ad Abdiweli si è conclusa ieri mattina con 153 voti a favore e 80 contro.

Ora la comunità internazionale deve domandarsi da dove vengono tutti i soldi che hanno circolato nelle ultime ore a Mogadiscio contro il PM Abdiweli e come contrastarne il flusso che ostacola la road map che si era assegnata il traguardo delle votazioni a suffragio universale nel 2016 passando attraverso l’attuale gestione federale di preparazione all’avvento della democrazia completa in Somalia.

La corruzione parlamentare era stata denunciata nelle scorse settimane da Nicholas Kay, rappresentante speciale per la Somalia del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e, prima ancora, dal Gruppo di Monitoraggio per Somalia ed Eritrea, ma non è servito ad impedire che le casse della setta affarista-islamista Damul Jadid, che governa Mogadiscio come derivazione dei Fratelli Musulmani, vincesse l’ultima tornata in Parlamento.

Alcuni deputati hanno preteso che Nicholas Kay chiedesse scusa per le sue accuse di corruzione dei giorni passati, ma questi ha risposto tramite la BBC che non vede nulla di cui scusarsi.

Intanto gli Stati Uniti prendono le distanze dai rapporti diretti con Mohamud preferendo interloquire con la Somalia tramite AMISOM. Motivazione: inaffidabile.

Il PM uscente Abdiweli, da noi raggiunto al telefono subito dopo l’esito della votazione, ha detto, combattivo, che è persa un battaglia, ma non la guerra. I deputati che lo sostengono ha subito fondato il gruppo parlamentare “Salvezza Nazionale”.

Intanto il nodo scorsoio dell’autoritarismo di Mohamud, già denunciato da tempo su queste note, è riaffiorato subito dopo la votazione ed il Procuratore Capo di Mogadiscio ha dichiarato minacciosamente che nessuno degli ex ministri del Gabinetto di Abdiweli può lasciare la Somalia senza un permesso speciale che spetta a lui rilasciare.

La solita incorreggibile satira di Mogadiscio si è subito scatenata con un annuncio: “Cercasi Primo Ministro. Requisito essenziale: essere fesso”.






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