Main Menu

Gli immigrati, la ragione e la politica

di FERRUCCIO DE BORTOLI -www.cdt.ch – Ragione e politica, quando si parla di immigrazione, divergono nettamente. La prima imporrebbe strategie comuni, la condivisione dei costi, l’intervento (anche militare, perché no?) nei luoghi d’origine dei flussi. La Libia è un esempio. E la coraggiosa fissazione di un limite. Questo è il punto. Oltre il quale, nell’accoglienza, non si può andare. Limite che può essere stabilito e fatto osservare efficacemente solo da un insieme di Stati, perché presuppone soluzioni di assistenza e contenimento all’estero impossibili da attuare anche per un solo grande Paese come la Germania.
La politica consiglia invece – se si è immuni da tentazioni populiste e dall’invocare l’erezione di muri – di astenersi e guadagnare tempo. Un calcolo miope. E inseguire le misure drastiche proposte dalle formazioni più oltranziste serve a poco. Chi crede – ed è una fetta di elettorato crescente e rispettabile in tutti i Paesi – che l’unica risposta sia quella della mano dura contro l’immigrazione, tenderà a premiare nelle urne l’offerta originale, non la scopiazzatura dell’ultim’ora. Ne sanno qualcosa i due schieramenti classici di Vienna, socialdemocratici e popolari, costretti allo scomodo ruolo di spettatori nel voto bis di ottobre per la presidenza austriaca. La paura del voto (l’anno prossimo) condiziona i governi di Germania e Francia. E, ancor di più, paralizza l’Unione europea, disorientata dal referendum britannico sulla Brexit e timorosa di un effetto domino.

Il 2 ottobre i cittadini ungheresi dovranno esprimersi sull’accordo europeo del settembre 2015 che ripartiva, fra i Paesi membri, 160 mila profughi. Con il risultato deludente che da allora ne sono stati collocati solo 2300. L’esito del voto è scontato. E la posizione del Governo di Orban, contraria a qualsiasi quota, è destinata a influenzare anche gli altri tre Paesi del gruppo Visegrad (Cechia, Polonia e Slovacchia).
Una lunga teoria di consultazioni popolari proposte o indette – al momento l’European Council for Foreign Relations ne ha contate 34 nei ventisette Paesi – paralizza l’azione europea. Suggerisce prudenza e ambiguità. Ma questo vuoto politico non fa che inacidire le posizioni, aumentare i divari e rendere impossibili terapie più efficaci. L’intesa con la Turchia del marzo scorso, raggiunta a fronte della promessa di sei miliardi all’allora più comodo alleato Erdogan, è stata resa possibile da una posizione comune europea nell’interesse anche di quei Paesi che non vorrebbero rispettare le quote. La rotta balcanica aveva registrato nel 2015 due milioni di passaggi. Nel giugno scorso in Grecia sono arrivate 1500 persone, il 95 per cento in meno rispetto all’anno prima. Un canale sostanzialmente chiuso.

Quell’accordo, che rischia di essere messo in discussione da Ankara se non verranno liberalizzati i visti – decisione legata però al rispetto di ben 72 clausole – funziona perché ha avuto un’adesione europea formale anche se contestata dai Paesi dell’Est. Non è un bell’accordo, specie dopo il fallito golpe turco e la brutale repressione, ma la sua alternativa è costituita dai muri costruiti lungo i confini bulgari, ungheresi e di altri. La Turchia è comunque il Paese con il maggior numero di profughi accolti o trattenuti.
Nei mesi scorsi si sono intensificati gli sbarchi lungo le coste italiane. A luglio erano già circa 95 mila gli arrivi in Italia. La rotta mediterranea è costellata di naufragi e morti inaccettabili. Gli episodi di solidarietà sono numerosi ed encomiabili. L’unica soluzione efficace nel ridurre e gestire il flusso dei migranti passa per la normalizzazione della Libia. Possibile solo con un appoggio deciso, da parte di tutti i Paesi impegnati contro il terrorismo, al pur traballante Governo di Tripoli. Al Sarraj è contrastato dal rivale Khalifa Haftar. Il Governo di Tobruk è sostenuto da egiziani, emiratini, russi e francesi. Le milizie dello stato islamico stanno soccombendo a Sirte. Basta poco per sconfiggerle definitivamente.

L’unità di intenti necessaria per battere il terrorismo è la stessa che può affrontare con qualche probabilità di successo la crisi dei migranti. L’idea di un migration compact europeo (corridoi umanitari e aiuti ai Paesi d’origine) è stata lanciata dal premier italiano Renzi e discussa al vertice europeo di giugno. La Commissione europea sta valutando la praticabilità di accordi bilaterali (là dove uno Stato c’è). L’emissione di eurobond per finanziare il programma non piace a Berlino. Si tenta di replicare un percorso simile al piano Juncker coinvolgendo la Banca europea per gli investimenti (BEI).
Qualcosa va fatto. E presto. Dipendere soltanto dal sultano di Ankara non è una buona soluzione permanente, anche facendo finta di non vedere le macroscopiche violazioni dei diritti umani. Una politica della ragione può far perdere consensi almeno nell’immediato. Ma se condivisa, minimizza i costi politici e dà risposte credibili ai cittadini.

fonte: http://www.cdt.ch/commenti-cdt/editoriale/161245/gli-immigrati-la-ragione-e-la-politica






Comments are Closed