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La Turchia sospende i diritti umani

Shukri Said – Blog Primavera Africana – Assistere alla Turchia che in accelerazione scrive la sua Storia con una conversione temporale a U, ripercorrendo il tempo a ritroso e, passando dalle dittature del ventesimo secolo, punta dritta sul medioevo, provoca un senso di disperata impotenza, un incubo che dà le vertigini.

Il popolo turco in piazza

Il popolo turco in piazza

Quelle folle osannanti sotto i palchi del capo tra lo sventolare di bandiere nazionaliste, evocano altre folle oceaniche riprodotte in crepitanti immagini in bianco e nero. I proclami del Presidente Erdogan richiamano alla memoria altri discorsi di settantanni fa: con la stessa insensatezza di allora, quando si urlava “La dichiarazione di guerra è già stata consegnata…” oggi si grida che i diritti umani vengono sospesi e, come allora, anche oggi il popolo furoreggia mentre si avvia alla catastrofe.

Come fa quel popolo turco, laborioso e dalla storia e cultura millenarie, nostro dirimpettaio sul Mediterraneo e ad un paio d’ore di volo dalle massime libertà democratiche, a non accorgersi del baratro nel quale sta per sprofondare?

È già noto, per esserci passato l’Iraq appena una decina d’anni fa, cosa accade quando una struttura statale viene improvvisamente decapitata dei suoi vertici più preparati.

L’affidamento dei beni comuni dello Stato a quella parte della popolazione meno preparata a gestire quell’enorme potere non può che portare inefficienza e corruzione.

Non c’è da pensare solo ai drammi individuali di quelle 50 mila e più famiglie private, da un giorno all’altro, dei mezzi di sostentamento, esposte al pubblico ludibrio e dotate, per sopravvivere, solo di competenze da colletti bianchi per loro ormai inservibili, ma anche al dramma collettivo di un paese che d’ora in poi sarà affidato a vertici impreparati e più ossequiosi dei riti politici e religiosi del capo, che non di scienza ed efficienza.

Quale scambio culturale potrà avvenire tra i rettori universitari occidentali e quelli che, adesso, sostituiranno chi percorse per intero la carriera di docente? Quali relazioni internazionali potranno intrattenersi con i nuovi magistrati turchi, verosimilmente scelti tra gli estimatori della Sharia? E di conseguenza: quale cultura svilupperanno i giovani turchi se non potranno confrontarsi alla pari con i colleghi occidentali? Come continuare a produrre in un paese in cui la Giustizia non segue i criteri dei paesi più progrediti? Con quale serenità recarsi a visitare un Paese che abbandona gli standard democratici internazionali?

Appare inevitabile che l’intera nuova burocrazia turca si volgerà più al mondo arabo che a quello occidentale, peraltro sotto una deriva autoritaria di lungo periodo che priverà proprio l’Occidente di quella cerniera con i musulmani moderati e democratici di cui vi era bisogno più che mai in questo periodo.

Da parte nostra si dovrà aumentare la vigilanza su ciò accade sulla sponda orientale del Mare Nostrum, sottolineando incessantemente gli sviluppi meno accettabili di quanto accadrà in Turchia per risvegliare, e mantenere sveglio, il senso delle libertà democratiche.

È dalla notte della Brexit, è dal 23 giugno, che le cose del mondo girano all’incontrario di come dovrebbero e il pessimismo rischia di prendere il sopravvento.

Il candidato repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali americane

Il candidato repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali americane

È questo lo spirito col quale guardiamo al prossimo futuro, agli imminenti appuntamenti più importanti sia in sede nazionale che internazionale. A novembre ci saranno il referendum italiano sulla riforma costituzionale e le elezioni presidenziali americane.

Il ritornello della Legge di Murphy – se qualcosa può andar male lo farà – comincia a diffondersi come un eco nella mente pur se ancora (ma fino a quando?) stoicamente contrastato da un altro ritornello: resistere, resistere, resistere.






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