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Immigrazione – Aiutiamoli a casa loro: pare facile!

C’è un’indubbia soddisfazione, da clandestini, ad approdare in duemila sulle coste italiche nel giorno in cui Matteo Salvini compie i suoi primi cinquant’anni. Quegli sbarchi sono stati un pernacchio eduardiano, un ghigno beffardo. E il cachinno si è fatto ancor più irriverente e sguaiato quando non sono bastate Guardia Costiera e Guardia di Finanza – che fino a dieci giorni fa si accapigliavano tra “law enforcement” e “ricerca e soccorso – SAR” sulle morti di Cutro – ma è stato necessario chiedere addirittura l’intervento della Marina Militare. Si è trattato dell’appagamento maligno che soccorre chi ha dovuto per lungo tempo patire una vanità rodomontesca e spavalda nel momento in cui la sorte si prende il gusto di sbattere la realtà sulla faccia dell’arrogante di turno, sempre alla ricerca populistica della soluzione semplice alla questione complessa, sempre alla ricerca di un capro espiatorio che in realtà non espia mai.

Prima la soluzione stava nei porti chiusi, poi nel blocco navale, adesso si dice che il problema è dell’Europa, anche se gli sbarchi avvengono in Italia. La colpa era dapprima delle navi di soccorso delle ONG; tolte quelle senza risolvere nulla, ecco l’incolpazione degli scafisti, strabicamente confusi con i trafficanti di esseri umani che non ci pensano per niente a mettersi a bordo di barchini fatiscenti; da ultimo c’è la novità dei russi della Wagner a organizzare le crociere dei subsahariani nel mediterraneo.

Mai che si prenda atto dei mali del mondo che sono alla base delle emigrazioni sicché, se non risolvi quelli, la soluzione del problema è del tutto velleitaria e insensibile al governo di destra o di sinistra. Vero è, però, che la destra sbraita più della sinistra e, quindi, dà più gusto a vederla impantanata nell’impossibilità di realizzare i suoi spropositi.

Uno degli slogan più in voga in materia di immigrazione, tanto di destra quanto di sinistra, dice: “Aiutiamoli a casa loro”. Suona bene, accomoda l’area altruistica della coscienza e, sotto sotto, solletica un sottile interesse economico egoistico. Andrebbe tutto bene se non fosse che, all’atto pratico, non si sa da che parte cominciare.

Prendiamo per esempio la Nigeria, un Paese africano che diffonde immigrazione sia in Europa che negli Stati Uniti che in Sudafrica.

È accreditato di 213 milioni di abitanti (decina di milioni più, decina di milioni meno) che crescono di circa il 2,6% all’anno. Nel 2050 saranno 400 milioni. È il settimo Paese più popoloso al mondo con circa il 50% di persone che vivono in condizioni di povertà estrema, cioè che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno. E la percentuale di aggravamento del fenomeno è in continua crescita se si pensa che nel 1980 solo il 6,2% viveva in condizioni di povertà estrema.

Una strada di Abuja, capitale della Nigeria Immagine AP Photo/ Sunday Alamba

Una strada di Abuja, capitale della Nigeria
Immagine AP Photo/ Sunday Alamba

I dati, peraltro, variano da regione a regione, con le regioni del nord più povere delle altre.

L’alto tasso di povertà ha portato all’aumento dell’insicurezza e del numero e tipologie dei reati. Si va dai rapimenti, alle rapine a mano armata, alle truffe postali (sono state tipizzate le “truffe alla nigeriana”), alle frodi informatiche.

Dagli inizi degli anni 2000, si è poi diffusa l’organizzazione islamista di Boko Haram (la traduzione letterale è “L’educazione occidentale è proibita”) che, evolvendosi negli anni, ha conquistato nel 2019 il secondo posto tra i gruppi terroristici per atrocità e uccisioni. Nata a Maiduguri, capitale dello Stato nordorientale del Borno, si è poi diffusa in tutto il nord della Nigeria e negli Stati vicini traendo linfa proprio dalla povertà delle popolazioni e dal livore verso il fragile Stato centrale. Tra le sue gesta si contano saccheggi di villaggi, rapimenti di decine di giovani studentesse, esplosioni di chiese, di mercati e di luoghi pubblici, uccisioni di politici e religiosi, attentati con bambini e donne come kamikaze. Boko Haram è stato anche all’origine dell’ISWAP –  Islamic State’s West Africa Province, organizzazione contro la quale si è poi accesa un’aspra rivalità, ma che ormai compete con le amministrazioni centrali per il controllo di intere aree di Stati come la Nigeria, il Ciad, il Camerun e il Niger.

Vari tentativi sono stati posti in essere per alleviare le condizioni della popolazione nigeriana. I programmi nazionali ed internazionali si contano a decine, ma sin qui non hanno raggiunto i risultati sperati a causa, soprattutto, di varie forme di corruzione: distrazione degli aiuti umanitari verso interessi privati; lievitare dei costi dei contratti durante la loro esecuzione; nomina dei responsabili dei programmi su base tribale o politica o regionale e senza badare alla competenza degli incaricati; il cambio dei governi che propone populisticamente l’abbandono dei programmi precedenti per vararne di nuovi, etc.

La povertà è anche figlia della disoccupazione e della sottoccupazione. Oltre il 55% dei giovani tra i 15 e i 35 anni è disoccupato o sottoccupato mentre meno dell’1% della popolazione si divide le immense ricchezze che derivano dalle materie prime, petrolio in testa.

Forse la Nigeria, il “gigante dell’Africa”, è un boccone troppo grande per la nostra Italietta da sessanta milioni scarsi di abitanti. Prendiamo allora un Paese meno enorme e più alla portata come la Somalia, accreditata di poco meno di quindici milioni di abitanti su una superficie tre volte lo Stivale.

Siccità nel Corno d'Africa Image by Michael Tewelde/WFP

Siccità nel Corno d’Africa
Image by Michael Tewelde/WFP

La Somalia ha affrontato il quinto (secondo alcuni il sesto) anno di siccità consecutivo che ha costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case mettendo sotto pressione un Paese già fragile per tre decenni di guerra civile.

La precedente carestia del biennio 2010-2011 fece 260.000 vittime, di cui la metà bambini e adesso la situazione appare assai peggiore. Gli sfollati si stimano in un milione di persone rimaste senza raccolto, mentre le mandrie sono state decimate, oltre che dalla mancanza d’acqua, anche dalla penuria dei foraggi, schizzati alle stelle per il conflitto russo-ucraino. Il prezzo dei generi alimentari è aumentato di oltre il doppio (110%) rispetto alla media dell’ultimo lustro. Il concomitante effetto della crisi climatica e dell’aumento dei prezzi alimentari si stima che porterà alla povertà estrema circa 7 milioni di abitanti: la metà della popolazione della Somalia. Stesse percentuali della Nigeria.

In Somalia i problemi sono aggravati dal perdurare della situazione conflittuale con gli islamisti di Al Shabab che da circa venti anni occupano la zona centro meridionale del Paese contrastando i fragili governi centrali che si sono sin qui succeduti alla guida del Paese. Anche in Somalia, all’aggravarsi delle condizioni di povertà, corrisponde un aumento dell’insicurezza con l’esplodere di reati prima sconosciuti come la violenza di genere, dei matrimoni forzati, dei furti e delle rapine che si aggiungono agli attentati dinamitardi concentrati da Al Shabab nella capitale Mogadiscio al ritmo di quasi uno a settimana tanto da non fare più notizia.

In conclusione, provare ad immaginare come aiutare gli africani a casa loro dà il mal di testa per il senso di impotenza che genera e fa venire voglia di aprire i porti italiani. Bisogna infatti prendere atto che la soluzione di accettare gli sbarchi in Italia degli immigrati africani è certamente più agevole che aiutarli a casa loro. Del resto, si tratta della soluzione più facile ad un problema tanto complesso e quindi, rimane nel solco dello streaming di oggidì.






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