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Buffonate e silenzi – editoriale pubblicato su “l’unità”

Che cosa spinga Gheddafi a venire ripetutamente in Italia presentando numeri equestri e nuocendo così gravemente alla sua figura di statista non è dato sapere. Quest’ambizione di iscriversi nella galleria dei personaggi africani più clowneschi, come Amin Dada o Bokassa, è tanto più incomprensibile se si pensa che il Colonnello avrebbe la possibilità di ispirarsi a ben altri esempi africani come Mandela o la Costituzione che il Kenya ha appena approvato.Invece, in due giorni di visita a Roma, ha fatto pagare 700 donne perché accettassero di assistere alla sua predicazione islamica.

Una predicazione, oltretutto, priva di qualunque investitura spirituale perché mirata ad un solo genere. D’altra parte, se l’abito non fa il monaco, la tenda non fa il beduino.
Non sappiamo, non avendo assistito all’omelia del Colonnello, se il prezzo pagato alle signorine valesse il sacrificio, ma è il metodo che conta e che la dice lunga sulla libertà di cui godono le donne in Libia. E non solo loro visto che Gheddafi è da trent’anni presidente senza essere mai stato eletto.
Ma se il Colonnello è libero di essere chi vuole e di fare quello che gli pare, è profondamente umiliante che l’Italia si presti ad ogni suo capriccio. Fino a consentirgli di fare un’opera di proselitismo islamico che troppo domanda alla tolleranza dell’ospitalità quando già si ospita il Vaticano.

 

Lo si potrebbe anche comprendere se si trattasse solo di salvaguardare affari, interessi economici e il galateo diplomatico. Il fatto è che, contemporaneamente, si tace su aspetti fondamentali del diritto internazionale, si coprono ripetute violazioni dei diritti umani, ci si costituisce mandanti dei respingimenti indiscriminati in mare. Un modo, questo, per trarre un vantaggio elettorale passando sopra la coscienza di tutti gli italiani, anche di quelli che non possono accettare che un trattato di amicizia, come quella tra l’Italia e la Libia, abbia conseguenze tanto disumane. E che rifiutano il silenzio del loro paese sulla sorte di donne e di uomini  che avrebbero diritto all’asilo politico.
Così si piega la dignità delle istituzioni, la coscienza di un intero paese, alle pretese di una sola parte politica. E si mostra al mondo un’Italia che esiste solo dalle parti di Arcore e in alcune zone del Nord governato dalla Lega. Zone la cui popolazione, con lo spettacolo di questi giorni, dovrà pur porsi qualche domanda sugli effetti delle sue scelte.
Non si chiudono i conti con la storia coloniale con un accordo come quello che è stato siglato un anno fa. I conti con la storia si chiudono affrontando quel passato in tutti i suoi aspetti e anche in tutti i suoi luoghi: non solo la Libia, ma l’intera Africa Italiana Orientale del 1938, quindi anche l’Etiopia,
l’Eritrea e la Somalia.
L’affronto che dobbiamo subire ospitando le pagliacciate di Gheddafi è un’offesa direttamente imputabile alle decisioni di un presidente del Consiglio che sceglie i suoi amici più cari tra i meno democratici tra i capi di Stato. Ai libici, 5 miliardi di Euro e un’autostrada bord de mer; ai profughi del Corno d’Africa i respingimenti e il timbro turistico per Al Birak, l’inferno con vista sul deserto. Questo è quanto festeggiano Gheddafi e Berlusconi.



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