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L’ONU contro i ritardi della Somalia nelle elezioni generali

Shukri Said – Blog Primavera Africana – La data delle elezioni generali della Somalia è stata spostata con un comunicato diramato lo scorso 7 agosto dal capo della commissione elettorale Omar Mohamed Abdulle suscitando la reprimenda del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, all’unanimità dei suoi 15 membri, ha intimato di attuare senza indugio il nuovo calendario.

Le date più probabili sono infatti slittate, dal corrente agosto, a fine ottobre con la previsione della nomina dei parlamentari tra il 24 settembre e il 10 ottobre; la nomina del Presidente del Parlamento il 25 ottobre e la conclusione delle elezioni del Presidente della Repubblica Federale somala, da parte dei parlamentari, per il 30 ottobre.

Questo slittamento non vedrà però attuato l’art. 91 della Costituzione in base al quale il Presidente della Repubblica Federale somala decade con la scadenza quadriennale del suo mandato iniziato il 10 settembre 2012. Hassan Sheikh Mohamud è invece intenzionato a rimanere sino all’elezione del nuovo presidente determinando così un’inammissibile conflitto costituzionale, autoprorogandosi di cinquanta giorni il mandato, e di interessi essendo egli anche candidato al rinnovo della carica.

La designazione dei parlamentari avverrà ancora per questo secondo quadriennio delle nuove istituzioni somale col sistema detto “4.5”, cioè un numero paritario di deputati per ciascuno dei quattro grandi clan e la metà per i clan minori. Come da richiesta del Presidente della regione semiautonoma del Puntland Abdiweli Ali Gas, nel 2020 le elezioni dovrebbero svolgersi a suffragio universale, come già avrebbe dovuto accadere quest’anno. Ma i ritardi voluti dall’amministrazione di Hassan Sheikh Mohamud non hanno consentito né questo traguardo istituzionale, né di adottare in via definitiva la Costituzione che è ancora quella provvisoria delle elezioni dell’agosto 2012.

Sono andati completamente sprecati, sul piano istituzionale, i quattro anni della presidenza di Hassan Sheikh Mohamud.

Eppure l’attuale Presidente mira alla riconferma e si serve di tutti i mezzi per contrastare gli avversari, tra i quali sono in campo Mohamed A. Mohamed Farmajo, tra gli ultimi primi ministri dell’epoca della transizione a sostegno del quale la popolazione di Mogadiscio scese in piazza per sostenerne la permanenza in carica quando venne “dimissionato” dai potentati della Somalia, e Sharif Sheikh Ahmed, ultimo Presidente della transizione sostenuto dalla comunità internazionale sino alle elezioni del 2012.

Recenti regolamenti governativi penalizzano i concorrenti, molti dei quali provenienti dalla diaspora, vietando i comitati di accoglienza all’Aeroporto Abdulle di Mogadiscio e i convegni negli alberghi. Né sono consentiti dibattiti televisivi essendo state chiuse molte emittenti indipendenti ed arrestati molti giornalisti. La televisione di Stato è impegnata solo a diffondere la propaganda di Villa Somalia, residenza del Presidente e del Primo Ministro Omar Abdirashid Ali Sharmarke, entrambi candidati a queste elezioni.

Inoltre sono in atto vere e proprie intimidazioni e minacce verso quei candidati che decidono, nonostante tutto, di avventurarsi a Mogadiscio.

Insomma, la campagna elettorale per le elezioni generali, con i metodi adottati dal regime per scoraggiare una competizione paritetica tra i candidati, non nasce sotto auspici di indipendenza e imparzialità rischiando di destabilizzare ancora di più il Paese.

Non basta insorgere contro lo slittamento delle elezioni: la comunità internazionale deve garantire il libero svolgimento della competizione elettorale con un equilibrato accesso ai media a disposizione di tutti i candidati e, soprattutto, impedendo la distrazione dei fondi pubblici per campagne elettorali private: i militari non ricevono lo

stipendio da oltre otto mesi ed i dipendenti pubblici da oltre un anno. Che fine hanno fatto i denari destinati a questo scopo e messi a disposizione delle autorità somale dalla comunità internazionale?






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